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Aprile è il mese della rinascita, delle giornate più lunghe e luminose, delle festività pasquali che ci invitano a rallentare e a trascorrere del tempo con le persone care. Quest'anno, con i lunghi ponti del 25 aprile e del 1° maggio, molti potranno concedersi qualche giorno di pausa, magari per un viaggio o semplicemente per staccare dalla routine.


Ma mentre la primavera porta con sé leggerezza, sui mercati l’aria è decisamente più turbolenta. Il primo trimestre dell’anno si è chiuso con una correzione significativa, con il Nasdaq in calo di circa il 10% e i titoli tecnologici più importanti - da Tesla a Nvidia, da Apple a Microsoft - al centro delle vendite. Le incertezze geopolitiche e le tensioni commerciali, alimentate dalle recenti dichiarazioni del presidente USA sui possibili nuovi dazi, hanno aumentato la volatilità e il nervosismo degli investitori.

Cosa significa tutto questo per chi ha investito? È una fase transitoria o il segnale di un cambiamento più profondo?


Nell’articolo centrale di questo mese, “Correzione di mercato o bear market?”, analizziamo le cause di questa fase di debolezza e le possibili implicazioni per il futuro. Perché, come sempre, più che temere le oscillazioni, è importante comprenderle e adattare le proprie strategie con lucidità.

Nel frattempo, ti auguro una Pasqua serena e, se ne avrai l’occasione, un periodo di riposo rigenerante. Perché, al di là dei mercati, la vera ricchezza è fatta di tempo, relazioni e scelte consapevoli.

Buona lettura!


Correzione di mercato o bear market?

Il primo trimestre 2025 si chiude con una correzione di mercato


Ma cosa significa davvero?

Il termine correzione in finanza si riferisce a un calo del mercato di circa il 10% rispetto ai suoi massimi recenti. Nonostante i titoli allarmistici dei giornali, si tratta di un fenomeno del tutto normale, anzi, spesso salutare. È una sorta di “respiro” per il mercato, che consente agli investitori di ricalibrare le proprie posizioni in vista di una ripresa.

Statisticamente, solo in un caso su quattro una correzione si trasforma in un vero e proprio bear market, ossia un mercato ribassista caratterizzato da un calo di almeno il 20%. Ma la vera differenza non sta nella percentuale di discesa, a dire il vero molto convenzionale, quanto nella durata: un bear market può protrarsi per mesi o anni ed è accompagnato da un clima di pessimismo e sfiducia. Più si allunga nel tempo, più diventa profondo.

Al momento, quindi, siamo nell’ambito di una correzione. Se si trasformerà in un orso lo scopriremo solo col tempo. Ma cosa ha innescato questo calo?


La politica e l’incertezza sui mercati

Gli indizi portano oltre oceano, verso un celebre ciuffo biondo – un po’ slavato, a dire il vero – che sta scuotendo il contesto economico globale.

Il presidente degli Stati Uniti ha dichiarato apertamente che l’economia americana dovrà passare attraverso una recessione prima di raggiungere una nuova età dell’oro. Non è esattamente il tipo di previsione che i mercati anelano.

Nel frattempo, minaccia guerre commerciali con tutti: alleati, vicini e rivali, senza distinzioni. Annuncia dazi, li rimanda, fissa delle date, le fa saltare.

Mette in dubbio equilibri consolidati e alleanze storiche, gettando ulteriore incertezza sui mercati. 

E i mercati, come sappiamo, odiano l’incertezza. Quando non riescono a prevedere gli eventi, reagiscono con volatilità.

Finché si tratta di normale oscillazione, è un fenomeno gestibile, il vero problema emerge quando l’incertezza si trasforma in sfiducia.


La questione chiave ora è: come risponderanno gli altri attori economici?

L’Europa, per esempio, ha certamente un surplus commerciale sulle merci, diciamo “fisiche” che penalizza gli Stati Uniti. Da qui i dazi imposti da Washington. Ma è altrettanto vero che, nel settore dei servizi, la situazione è esattamente opposta: aziende come Google, Netflix, ChatGpt, Apple, Microsoft, Vanguard dominano il mercato globale.


Provocazione: e se ai dazi sul vino italiano e al formaggio francese si rispondesse con una tassa sugli abbonamenti a Netflix e ChatGpt, sui sistemi operativi, sulla musica di Spotify?

Chi ne uscirebbe più danneggiato?


Un altro tema chiave è il debito. L’Europa si prepara a emettere titoli per finanziare la difesa, ma anche gli Stati Uniti hanno un debito gigantesco che deve essere comprato da qualcuno. Il grande credito di fiducia di cui godono gli Stati Uniti è figlio anche della situazione di rapporti ed equilibri che caratterizzano quello che, fino a novembre era definito il mondo occidentale. 

Se la fiducia venisse meno, le conseguenze sarebbero una svalutazione del dollaro, un aumento dei tassi d’interesse e il rischio di dover ristrutturare il debito pubblico americano. 

Nessuno può permettersi un’eventualità di questo genere.

Per questo lo scenario potrebbe essere meno fosco di quanto sembri. Né una guerra commerciale vera e propria né, tantomeno, un conflitto reale conviene a qualcuno.


Eppure dubito che tutto tornerà come è sempre stato: certamente alcuni scenari stanno cambiando e, probabilmente, ci avviamo verso un cambio dei paradigmi geopolitici ed economici che ci accompagnano dal dopoguerra.

L’Europa deve uscire da sotto il comodo ombrello americano e imparare a camminare sulle sue gambe mentre, certamente gli Usa dovranno affrontare sfide impegnative, commerciali e non, contro il Dragone Cinese. 


E noi investitori?

Di una cosa possiamo essere certi: qualunque cosa accada, per quanto la situazione possa complicarsi, i mercati si adatteranno. 

Perché lo faranno gli imprenditori e le aziende. Le realtà che non sapranno far fronte ai cambiamenti saranno sostituite da chi troverà nuovi modi di creare valore.

Nulla di nuovo sotto il sole.

I bear market più profondi hanno cali medi del 35%. In questo 2025 impatterebbero realmente solo chi è entrato sul mercato nell’ultimo anno. Chi investe da più tempo vedrebbe, al massimo, svanire una parte dei guadagni accumulati, mantenendo comunque un capitale rivalutato.


Partirà un bear market? Non lo sappiamo e non abbiamo modo di saperlo. E tutto sommato non ha nemmeno una particolare importanza. 

Quello che conta davvero non è il mercato in sé, ma il modo in cui siamo investiti. 

È il momento giusto per guardare il proprio portafoglio e chiedersi:

  1. Sono in fase di accumulo o di decumulo?
  2. Ho spese importanti previste nei prossimi mesi o anni?
  3. Sto attraversando o si avvicinano cambiamenti di vita significativi (pensione, matrimonio, nascita di un figlio, acquisto di una casa…)?
  4. Ho abbastanza liquidità per approfittare di eventuali opportunità?
  5. Sono disposto a tollerare eventuali ribassi, sfruttandoli per comprare a prezzi più bassi?
  6. E’ il caso che apporti modifiche per dormire meglio la notte?


I mercati sono ciclici, i nostri obiettivi restano.

I momenti di incertezza ci ricordano che i mercati sono fatti di cicli: correzioni, rialzi e ribassi si alternano da sempre.

Eppure, nel lungo periodo, il trend resta positivo.

Per questo i portafogli non si creano o si distruggono in base al mercato ma si adattano alle nostre esigenze.  Se guardiamo alla storia, i mercati hanno sempre superato crisi economiche, guerre, bolle speculative e recessioni.

Chi ha investito nel 2008, nel pieno della crisi finanziaria, oggi ha moltiplicato il proprio capitale.

Chi ha tenuto duro nel crollo del 2020 ha visto una ripresa straordinaria in pochi mesi.

E ancora più recente: chi nel 2022, di fronte a quello che poteva trasformarsi in un bear market, con un calo del 20% e la convinzione di una recessione globale, avesse venduto, avrebbe perso due anni di mercato straordinario.


Il segreto? Non farsi guidare dall’emotività, ma avere un portafoglio costruito in base ai propri obiettivi personali e alla propria tolleranza al rischio.

Le fluttuazioni di mercato sono inevitabili, ma il modo in cui le affrontiamo fa la differenza.

Chi ha una strategia solida sa che anche i momenti difficili possono trasformarsi in opportunità.

E il tempo, come sempre, darà ragione a chi resta investito con metodo e consapevolezza.


A questo proposito: se anche solo ad una delle domande sopra hai risposto sì è il caso di scambiare due parole e valutare se è il caso di fare delle modifiche.

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